Le origini del santuario risalgono al secolo XVII, quando la nobile principessa donna Eleonora Moncada, al cui casato era infeudato quasi tutto il territorio di Calvaruso, fece erigere sul poggio di S. Giovanni, sito di fronte al piccolo centro, una chiesa con annesso convento da affidare alla custodia dei Francescani Minori Riformati.
I lavori di costruzione iniziarono intorno al 1619 e la chiesa con l’annesso convento furono dedicati all’Immacolata Concezione. Ma dopo circa due secoli e mezzo, esattamente al tempo del risorgimento italiano, quando venne emanata la legge civile sulla soppressione dei beni ecclesiastici, anche i Frati Minori di Calvaruso dovettero abbandonare questo luogo di mistica solitudine e di preghiera, insieme all’attigua proprietà terriera.
Nel 1900 il santuario fu venduto a donna Maria Caterina Scoppa dei Baroni di Badolato, nota come la Marchesa di Cassibile, che nel 1907 lo donò agli antichi custodi, ovvero i Frati Francescani del Terzo Ordine Regolare, che tutt’oggi ne sono i custodi.
Tra Storia e leggenda
La statua dell'Ecce Homo di Calvaruso si può annoverare fra le opere pintorniane corredate da una serie di racconti spesso di carattere leggendario, molto frequenti nel secolo XVII, creati dalla fantasia popolare, atti ad evidenziare una caratteristica dell'opera, un momento particolare del periodo della lavorazione, o un aspetto della devozione popolare. In essi non sempre riesce facile individuare il punto che divide la narrazione del fatto storico da quella del leggendario. Intorno a questa stupenda statua diversi sono i racconti che si tramandano fra la gente di Calvaruso e i devoti di tutto il messinese. Il più famoso, di cui scrivono il Tognoletto in “Paradiso Serafico” e il P. Benedetto Mazzara in Leggendario Francescano”, e di cui si legge nella scritta posta sulla volat della cappella dove si custodisce il simulacro, è il seguente: “Com'era sua consuetudine, tutte le volte che il nostro frate Umile doveva compiere un'opera scultorea, restava chiuso nel laboratorio e non permetteva a nessuno di curiosare.
Per la scultura di Cristo alla colonna, volle restare chiuso in una stanza del castello. Un giorno il principe don Cesare Moncada gli domandò a che punto fosse il lavoro della statua ed il nostro frate Umile gli rispose che la domenica seguente o in altra festività si sarebbe potuta effettuare la processione per portare la statua alla chiesa del convento. Il giorno precedente all'inaugurazione, sul tardi, frate Umile consegnò la chiave della stanza al Principe, pregandolo di non aprirla per vedere la statua, fino a quando non arrivasse l'ora della processione.
Il Principe gli promise che avrebbe mantenuto la consegna. Frate Umile ritornò in convento, sicuro della promessa fattagli dal Principe. Ma la signora Principessa, curiosa di vedere la nuova statua, pregò con insistenza il marito, che sebbene riluttante, date tali insistenze, si lasciò convincere ed insieme si recarono nella stanza dov'era conservata la statua. Restarono molto meravigliati nel constatare che, sebbene tutto il corpo fosse ultimato e ben rifinito, mancava la parte principale, cioè la testa, che si presentò ai loro occhi priva di alcun rifinimento. Si stupirono di più perché frate Umile li aveva rassicurati che il giorno seguente si sarebbe potuta effettuare la processione. Lasciata intatta ogni cosa come l'avevano trovata e arrivata l'ora della processione, il Principe domandò a frate Umile se l'opera fosse pronta, questi rispose sì. All'ora della processione venne aperta la porta della stanza dov'era custodita la statua, e con grande meraviglia i Principi trovarono tutto a perfezione come se il capo del Cristo fosse stato ultimato dagli Angeli”. Probabilmente l'avvenimento sopradescritto, che si tramanda da sempre anche oralmente, è di carattere leggendario e mira ad evidenziare e ad esaltare la bellissima ed intensa espressione del volto della statua dell'Ecce Homo.
Un altro racconto, mirante ad evidenziare l'intervento del trascendente per l'esecuzione di questa mirabile scultura, è legato all'arrivo di frate Umile a Calvaruso per realizzare la statua commissionatagli dal principe don Cesare Moncada. Nacquero subito discussioni e controversie fra coloro che erano stati incaricati di scegliere l'albero di cipresso da cui l'artista avrebbe dovuto trarre l'opera. La comparsa, forse nella tenuta del convento o nelle campagne di Calvaruso, di un cipresso con le foglie luccicanti fu interpretata come segno miracoloso per la definitiva scelta dell'albero. Fu così che frate Umile potè mettersi a lavoro in una stanza del castello dei Moncada.
Sui colli Peloritani, all'altezza della contrada detta “Musolino”, a circa 300 metri dalla strada che conduce a “Dinnamare” è sita una stele, raffigurante l'Ecce Homo di Calvaruso, risalente al 1697. Secondo alcuni la stele sta a ricordare lo strepitoso miracolo della guarigione di un bambino cieco. “Si narra che due pii genitori, i quali erano diretti con il loro figliolo cieco al santuario di Gesù Ecce Homo in Calvaruso per implorare la grazia della guarigione del fanciullo, tosto che giunsero, dopo stenti, in quel punto elevato donde si poteva scorgere il sospirato Santuario, ebbero ad esclamare con sollievo e con gioia: Ecco il Santuario! E rivolti al figliuolo: Oh! Se anche tu potessi vedere! Speriamo, aggiunsero, che il buon Gesù ci farà la grazia. Ma non avevano pronunziate le ultime parole che il fortunato giovinetto quasi togliendosi la benda dagli occhi, interruppe le loro commosse parole gridando fuori di sé: Vedo anch'io il Santuario! Egli aveva infatti riacquistato la vista prima di giungere al Santuario”. Secondo altri, la stele sta a ricordare l'avvenimento, anch'esso strepitoso, registratosi proprio qui al passaggio della statua trafugata dai messinesi per offrirle una migliore collocazione in città, dato il suo lato valore artistico e religioso. Ma giunti che furono in questo luogo la statua divenne oltremodo pesante da non poter più proseguire il viaggio, allora i trafugatori decisero di riportarla a Calvaruso. In realtà, stando alla scritta posta in basso alla stele, pare che questo punto dei Peloritani permetteva ai pellegrini messinesi di scorgere per la prima volta il Santuario a distanza e di sostare per rifocillarsi e meglio proseguire il cammino. Infatti si legge: “ Dhè ferma il piè, riguarda il tuo Signore, ritratto di Colui che a vista miri, qui dagli per caparra l'alma e il core e con questi lacrime e sospiri ”. Francesco Nicotra così riferisce: “La statua dell'Ecce Homo fu collocata su una base girevole per poter essere osservata da tutti i lati. E poiché nelle sacre funzioni eccitava i pianti degli astanti e per la pietà che desta fu cagione che una volta una donna incinta si sgravò in chiesa, l'Arcivescovo di Messina proibì il girò del simulacro che fu piantato sulla base con un perno di ferro”.
Al di là del valore storico o leggendario che si voglia riconoscere a questi racconti tradizionali, che fanno da cornice alla prodigiosa statua dell'Ecce Homo, emerge, imponendosi, il significato religioso ed artistico che da essi viene attribuito a quest'opera pintorniana che ha fatto del Santuario di Calvaruso la meta di numerosi e continui pellegrinaggi. Questa sacra immagine ha sempre destato ammirazione non solo fra gli intenditori d'arte, ma anche fra il popolo suscitando sentimenti di vera fede e di grande devozione. Frate Umile, con la statua dell'Ecce Homo, ha raggiunto, ancora una volta, non solo l'animo dei suoi contemporanei, tormentati dalla più nera miseria causata dai mali politici, economici e sociali del tempo, e quello degli uomini di sempre. Nel Cristo di Calvaruso si scorge in maniera evidente il punto di congiunzione tra l'uomo e Dio, che diventa segno di speranza nel vissuto quotidiano.
testo di Vincenzo Bondì